
Gli oggetti che giungono al nostro laboratorio sono spesso molto danneggiati, rendendo difficile immaginare il risultato finale dell'intervento di restauro. Questo era esattamente il caso della qui presente camicia rossa: arrivata gravemente danneggiata e non più facilmente riconoscibile, dopo l'intervento di restauro ha recuperato nuovamente la sua integrità e forma. Un oggetto iconico riacquista così il suo significato originale.




La giubba del Museo di Bezzecca è confezionata in panno di lana a forma di blusa. Il colletto e la tasca sono tipici delle camicie popolari, che all'epoca venivano utilizzate soltanto come abiti da lavoro o come abbigliamento sportivo. Le parti del petto, della schiena e delle spalle sono foderate con un tessuto di cotone di colore naturale. Sulla parte sinistra del petto sono fissati tre nastri di seta, ai quali erano fissate delle medaglie. Per togliere le medaglie i nastri sono stati tagliati. Nella parte anteriore ed in quella posteriore, più o meno all'altezza della vita, troviamo quattro piccole asole, probabilmente usate per fissare una cintura o qualche cordoncino usato come guarnizione. Tutte le cuciture sono eseguite a macchina.
Bezzecca stessa ha un importante legame con i Garibaldini, poiché nel 1866 fu il luogo di una battaglia di questi ultimi contro gli austriaci durante la terza guerra di indipendenza. Dunque non c'è da sorprendersi che il museo garibaldino e della grande guerra abbia nella sua collezione una giubba dell'epoca.
L'origine delle camicie rosse può essere datata all'anno 1843 in Uruguay. Giuseppe Garibaldi guidava in quell'anno una Legione Italiana nella guerra civile uruguaiana. I volontari italiani della brigata, residenti a Montevideo, inizialmente vestivano abiti civili. Ma quando il governo uruguaiano cedette alla Legione un carico di stoffa rossa destinato ai macellai di Buenos Aires ma mai consegnato, questo venne usato per confezionare le giacche delle uniformi.
Ritornato in Italia, i Savoia autorizzarono Garibaldi nel 1860 a formare un gruppo di volontari. Questi furono chiamati i Mille, o anche "Giubbe rosse“, proprio perché adottarono come uniforme la camicia rossa.
Essendo un gruppo di volontari, l'uniforme delle truppe garibaldine aveva varie fogge, anche se veniva usata principalmente la stoffa rossa per le camicie ed i berretti.
Per ottenere un rosso brillante la stoffa di lana veniva tinta con un colorante naturale ottenuto da degli insetti particolari, le cocciniglie. Questo colore rosso vivo veniva chiamato comunemente cremisi, cremisino, rubino o scarlatto e uno dei luoghi più importanti per la sua produzione era Gandino, noto appunto per lo "Scarlatto di Gandino“, che aveva una "lucentezza insuperata“.
Era la Tintoria degli Scarlatti di Prat Serval a Gandino che nel 1860 aveva tinto le camicie rosse per Garibaldi.
Ad eccezione del colore, le camicie rosse, fatte confezionare da mani diverse, non erano uniforme: potevano essere ornate infatti con cordoncini di vari tipi, riportare segni distintivi o essere prive di decorazioni.
Lo stato di conservazione generale della giubba era da considerarsi pessimo: la camicia è stata schiacciata tra un vetro e un pannello di legno e poi incorniciata. Grazie a ciò si è creato all'interno l'ambiente ideale per lo sviluppo e la riproduzione delle tarme. Il tessuto in panno di lana è inoltre tra i loro piatti preferiti. Grandi parti della giubba sono state infatti danneggiate o sono andate perse a causa dell'infestazione delle tarme.
Lo stato di conservazione complessivo era quindi da considerarsi veramente precario: la giubba risultava molto frammentata e con evidenti lacune. La sua ricostruzione si è rivelata pertanto molto complessa.
Dopo la rimozione della camicia dalla cornice, il primo provvedimento conservativo è stato la sua pulitura: internamente ed esternamente, tramite un microaspiratore sono stati accuratamente rimossi i diffusi e numerosi depositi di sporco. Dopo aver liberato la superficie del tessuto da questi residui si è proceduto ad un'accurata documentazione fotografica, necessaria per una corretta ricostruzione.
Per distendere delicatamente la camicia, molto spiegazzata, e per il suo successivo consolidamento, è stato necessario aprire alcune cuciture, che in parte erano già andate perse.
La stenditura è stata eseguita con vapore di acqua demineralizzata su un compensato di cartone rivestito di polietilene e mediante spilli entomologici, seguendo la direzione della trama e dell'ordito.
Ha seguito poi il consolidamento. La singole parti e tutti i frammenti staccati, sono stati posizionati in diritto filo su un supporto di lana, tinto con il colore adeguato. Il fissaggio di tutte le zone danneggiate e dei frammenti è stato poi realizzato attraverso il punto posato in filo di seta finissimo, anch'esso tinto nel colore adeguato. Il lavoro di cucitura doveva essere eseguito con molta cura e precisione, seguendo una speciale metodologia onde evitare conseguenze come tensioni o bolle. Infine è stata ricostruita la forma originale della giubba, cucendo insieme con il filo di cotone le singole parti nel rispetto della forma e delle cuciture originali.
Oggi la camicia, dopo essere stata riportata alla sua forma originale grazie al restauro conservativo, è nuovamente esposta al Museo di Bezzecca.

Gli oggetti che giungono al nostro laboratorio sono spesso molto danneggiati, rendendo difficile immaginare il risultato finale dell'intervento di restauro. Questo era esattamente il caso della qui presente camicia rossa: arrivata gravemente danneggiata e non più facilmente riconoscibile, dopo l'intervento di restauro ha recuperato nuovamente la sua integrità e forma. Un oggetto iconico riacquista così il suo significato originale.




La giubba del Museo di Bezzecca è confezionata in panno di lana a forma di blusa. Il colletto e la tasca sono tipici delle camicie popolari, che all'epoca venivano utilizzate soltanto come abiti da lavoro o come abbigliamento sportivo. Le parti del petto, della schiena e delle spalle sono foderate con un tessuto di cotone di colore naturale. Sulla parte sinistra del petto sono fissati tre nastri di seta, ai quali erano fissate delle medaglie. Per togliere le medaglie i nastri sono stati tagliati. Nella parte anteriore ed in quella posteriore, più o meno all'altezza della vita, troviamo quattro piccole asole, probabilmente usate per fissare una cintura o qualche cordoncino usato come guarnizione. Tutte le cuciture sono eseguite a macchina.
Bezzecca stessa ha un importante legame con i Garibaldini, poiché nel 1866 fu il luogo di una battaglia di questi ultimi contro gli austriaci durante la terza guerra di indipendenza. Dunque non c'è da sorprendersi che il museo garibaldino e della grande guerra abbia nella sua collezione una giubba dell'epoca.
L'origine delle camicie rosse può essere datata all'anno 1843 in Uruguay. Giuseppe Garibaldi guidava in quell'anno una Legione Italiana nella guerra civile uruguaiana. I volontari italiani della brigata, residenti a Montevideo, inizialmente vestivano abiti civili. Ma quando il governo uruguaiano cedette alla Legione un carico di stoffa rossa destinato ai macellai di Buenos Aires ma mai consegnato, questo venne usato per confezionare le giacche delle uniformi.
Ritornato in Italia, i Savoia autorizzarono Garibaldi nel 1860 a formare un gruppo di volontari. Questi furono chiamati i Mille, o anche "Giubbe rosse“, proprio perché adottarono come uniforme la camicia rossa.
Essendo un gruppo di volontari, l'uniforme delle truppe garibaldine aveva varie fogge, anche se veniva usata principalmente la stoffa rossa per le camicie ed i berretti.
Per ottenere un rosso brillante la stoffa di lana veniva tinta con un colorante naturale ottenuto da degli insetti particolari, le cocciniglie. Questo colore rosso vivo veniva chiamato comunemente cremisi, cremisino, rubino o scarlatto e uno dei luoghi più importanti per la sua produzione era Gandino, noto appunto per lo "Scarlatto di Gandino“, che aveva una "lucentezza insuperata“.
Era la Tintoria degli Scarlatti di Prat Serval a Gandino che nel 1860 aveva tinto le camicie rosse per Garibaldi.
Ad eccezione del colore, le camicie rosse, fatte confezionare da mani diverse, non erano uniforme: potevano essere ornate infatti con cordoncini di vari tipi, riportare segni distintivi o essere prive di decorazioni.
Lo stato di conservazione generale della giubba era da considerarsi pessimo: la camicia è stata schiacciata tra un vetro e un pannello di legno e poi incorniciata. Grazie a ciò si è creato all'interno l'ambiente ideale per lo sviluppo e la riproduzione delle tarme. Il tessuto in panno di lana è inoltre tra i loro piatti preferiti. Grandi parti della giubba sono state infatti danneggiate o sono andate perse a causa dell'infestazione delle tarme.
Lo stato di conservazione complessivo era quindi da considerarsi veramente precario: la giubba risultava molto frammentata e con evidenti lacune. La sua ricostruzione si è rivelata pertanto molto complessa.
Dopo la rimozione della camicia dalla cornice, il primo provvedimento conservativo è stato la sua pulitura: internamente ed esternamente, tramite un microaspiratore sono stati accuratamente rimossi i diffusi e numerosi depositi di sporco. Dopo aver liberato la superficie del tessuto da questi residui si è proceduto ad un'accurata documentazione fotografica, necessaria per una corretta ricostruzione.
Per distendere delicatamente la camicia, molto spiegazzata, e per il suo successivo consolidamento, è stato necessario aprire alcune cuciture, che in parte erano già andate perse.
La stenditura è stata eseguita con vapore di acqua demineralizzata su un compensato di cartone rivestito di polietilene e mediante spilli entomologici, seguendo la direzione della trama e dell'ordito.
Ha seguito poi il consolidamento. La singole parti e tutti i frammenti staccati, sono stati posizionati in diritto filo su un supporto di lana, tinto con il colore adeguato. Il fissaggio di tutte le zone danneggiate e dei frammenti è stato poi realizzato attraverso il punto posato in filo di seta finissimo, anch'esso tinto nel colore adeguato. Il lavoro di cucitura doveva essere eseguito con molta cura e precisione, seguendo una speciale metodologia onde evitare conseguenze come tensioni o bolle. Infine è stata ricostruita la forma originale della giubba, cucendo insieme con il filo di cotone le singole parti nel rispetto della forma e delle cuciture originali.
Oggi la camicia, dopo essere stata riportata alla sua forma originale grazie al restauro conservativo, è nuovamente esposta al Museo di Bezzecca.
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